Quante erano le
fondazioni templari in Sardegna?
L’analisi
accurata di documenti, non nuovi, anzi già noti benché
solo in forma di regesto, mette la parola fine a tutta la
questione riproponendo come corretta l’impostazione di
ricerca che preveda l’analisi di un documento in originale e
non su interpretazioni altrui, a volte frutto di decodifiche
frettolose, come nella summenzionata bolla del 1216.
La penuria documentale
rilevata nei paragrafi precedenti sulla presenza dell’Ordine
nell’Isola, nonché l’assenza di precettori sardi in tutti
i sinodi della Tuscia-Lombardia, induce a pensare che in
Sardegna:
a) non vi fosse alcun
monastero, analogamente all’Opera di Santa Maria di Pisa che
vantava moltissime proprietà agrarie (latifondi, fattorie,
interi villaggi) in tutti e quattro i giudicati, frutto di
continue donazioni dai sovrani indigeni e dai Pisani, nei
secoli XII-XIII-XIV. Per l’amministrazione di questo ampio
patrimonio, da Pisa era un continuo andirivieni di intendenti
da e per la Sardegna. Ciò spiegherebbe, oltre la scarsità
documentaria, anche il trasferimento nell’Isola di Templari
italiani e francesi.
b) vi fosse, tuttalpiù,
un solo monastero: infatti, lo scenario precedente (a) è
contraddetto dalla bolla papale Fratribus militie Templi in
Sardiniae constitutis (1249) e da altre lettere fonti che
parlano esplicitamente di Templari della Sardegna (1220; 1236;
1255; 1264; 1289); documentazione, torniamo a ripetere,
abbastanza esigua.
Nel nostro studio
“La Cavalleria del Tempio” nel 2003, avevamo già indicato
che le fondazioni rossocrociate in Sardegna non erano più di
una o due. Tale dato risultava in contrasto con le possibili
fondazioni proposte nel nostro primo lavoro “Ipotesi sui
Templari in Sardegna”. L’analisi accurata della
documentazione già edita prova l’insignificante esistenza
di cavalieri nell’Isola, soprattutto dalla seconda metà del
XIII secolo. Non è escluso, tuttavia, che tale esiguo numero
di possessi superstiti fosse la conseguenza di ripetuti
saccheggi ed appropriazioni indebite da parte di varie autorità,
anche politiche, analogamente a quanto subirono gli altri
Ordini monastici nell’Isola nel Duecento dopo la scomparsa
dei giudicati di Kalari e Torres.
In realtà, anche una
lettera pontificia, questa volta scritta da Nicolò IV il 20
giugno 1289 ai Templari del regno di Sicilia, delle diocesi di
Milano e Genova e quelli presenti a Pavia, Piacenza, Castellone
e in Sardegna affinché pagassero le decime di tre anni al
suo legato, lascia intendere la presenza di una sola
fondazione sarda. Precisamente, il pontefice si rivolgeva ai
«frati della magione della Milizia del Tempio in Sardegna».
In precedenza, senza
disporre del testo originario e basandoci unicamente sul
regesto fornito dal Bramato, nel nostro citato studio
“La Cavalleria del Tempio”
avevamo evidenziato che:
a) in Sardegna doveva
esistere solo un numero di magioni congruo con quelli presenti
nelle altre tre località;
b) parlare di generici
Templari “di Sardegna” era equivalente ad indicare
un’unica fondazione: anche l’unico convento sardo dei
Domenicani, pur essendo a Cagliari, era detto “di
Sardegna”, poiché il solo nell’Isola, dato che il secondo
fu impiantato solo nel XVI secolo a San Martino di Oristano.
Similmente, nei volumi dell’Archivio dell’Ordine di Malta
a La Valletta, l’unica commenda melitense sarda di San
Leonardo di Siete Fuentes era detta indifferentemente
“commenda di Sardegna” o “commenda di Settefontane”.
c) Il pontefice si rivolse
a fondazioni di singole località: Pavia, Piacenza,
Castiglione, e non alle rispettive circoscrizioni templari di
appartenenza (Lombardia, Marca Anconitana, Tuscia),
indirettamente confermando che l’attenzione verso i Templari
“di Sardegna” era indirizzata ad un’unica località e
non all’intera Isola.
Un sistema empirico per
conoscere il numero approssimativo di fondazioni templari è
dato dal confronto numerico tra queste, sommate a quelle
gerosolimitane, e le commende dell’Ordine di Malta nello
stesso territorio. Infatti, nella penisola italiana in età
moderna, i grandi priorati gerosolomitani di Pisa, Lombardia,
Venezia, Roma, Capua, Barletta e Messina, conservarono le
varie precettorie gerosolimitane, a cui si aggiunsero negli
anni successivi al 1312 i possessi del disciolto Ordine del
Tempio, oltre alle donazioni successive. Tali antiche proprietà,
ancorchè accorpate, furono trasformate in commende, ognuna
delle quali poteva vantare un certo numero di chiese minori
affiliate, di beni e proprietà varie. Nell’area
dell’attuale regione Veneto erano ben diciassette commende (Arquà
Petrarca; Barbarano Vicentino; Bevadoro; Conegliano; Cologna;
Longara; Mestre; Montebello; Padova; Pagnano d’Asolo;
Rovigo; Sossano; Tempio di Ormelle; Treviso; Venezia; Verona;
Villagà), laddove in epoca medievale stavano 15 insediamenti
Templari e 16 Gerosolimitani, tutti ormai localizzati e
schedati.31 In altre parole, ogni due fondazioni medievali
sopravviveva una sola commenda melitense. Ma era un caso
isolato: proporzioni ben peggiori si riscontrano per altre
regioni italiane attuali, per esempio in Sicilia, dove, a
fronte di dieci monasteri gerosolimitani e sette magioni
templari, in età moderna vi erano ventuno commende melitensi
(Agrigento; Bonanno; Calli; Caltagirone; Corleone; Lentini;
Marsala; Mazara; Mazzarino; Messina; Modica; Palermo (3
comm.); Piazza Armerina; Polizzi; Ragusa; Randazzo; Siracusa;
Taormina; Vizzini). Quindi, le proporzioni tra fondazioni
medievali e moderne varia da un rapporto minimo di 0,8 ad uno
massimo di 1,8. Nella migliore delle ipotesi, per la Sardegna,
all’unica commenda melitense accertata, quella di San
Leonardo di Siete Fuentes, dovevano corrispondere nel Duecento
inizi del Trecento appena due domus, e, poiché un
priorato gerosolomitano era a Bangius, presso Simaxis
(Or) già dal XIII secolo, i Templari avevano in Sardegna,
nella migliore delle ipotesi, appunto una sola domus.
La presenza di una sola
magione templare in tempi ancora antecedenti, durante la metà
del Duecento, è indirettamente confermata dai due documenti
pontifici summenzionati, le esenzioni assicurate all'Ordine nel 1255 e
1264 pel versamento di contributi ad iniziative pontificie.
Nel
1255 il papa esonerava dal pagamento, oltre ai Templari, anche
quegli ordini religiosi che nell’Isola avevano un solo
monastero: i Gerosolimitani (la citata domus di Bangius
nell’Arborea), Cistercensi (Santa Maria di Paulis in
Logudoro, essendo già abbandonata Santa Maria di
Corte) e gli ospitalieri di Altopascio (San Michele di
Searu; mentre Santa Maria di Seve fu fondata nel
1261). Tale esenzione verso queste quattro entità indica che
all’epoca non dovevano essere molto ricche, forse
dichiaranti un reddito inferiore a quello della più povera
delle diocesi sarde.
E la situazione si
rinnovava nel 1264: oltre ai Templari, gli altri dispensati
erano stati i Gerosolimitani e le monache Clarisse o di San
Damiano.
Massimo Rassu
Tratto da:
Massimo Rassu, I Templari in Sardegna: la ricerca, in
«Templari e Ospitalieri in Sardegna» Atti del Convegno,
Cagliari 2006, Grafica del Parteolla, Dolianova 2008
Templari
e Ospitalieri in Sardegna
ISBN 978-88-89978-60-3
128 pagine B/N
15 x 21
12,00 euro
edizioni Grafica del
Parteolla
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